ECCE HOMO: LA RICERCA DELL’UOMO E LA RICERCA DELLA VERITÀ
Lucio Fontana, intervistato dalla RAI a Milano negli anni ‘60 sul significato, sui contenuti e sui motivi ispiratori dei suoi “concetti spaziali”, sottolineava la necessità di “appagare l’inquietudine della ricerca” che accompagna il lavoro dell’artista.
Il Maestro spiegava che l’anelito all’incessante voglia di sperimentare, portato all’estremo, conduce alla “filosofia”.
La filosofia dal greco “filos” (amante/amico) e “sofia” (conoscenza/sapere) è “amore del sapere”. Secondo i greci la filosofia è qualcosa di intermedio tra l’ignoranza e la saggezza; infatti l’ignorante non sa, ma non si sforza di sapere; il sapiente sa, quindi, non ha bisogno di sapere altro, mentre la filosofia è la caratteristica dell’uomo che non sa ma cerca di sapere. A questo proposito Socrate affermava: “ una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”.
Platone, invece, sosteneva che la filosofia è “l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo”.
Il filosofo si pone domande e riflette sul mondo e sull'uomo, indaga sul senso dell'essere e dell'esistenza umana, tenta di definire la natura e analizza le possibilità e i limiti della conoscenza.
I filosofi hanno sempre cercato di interpretare o offrire risposte, e finanche soluzioni, alle domande fondamentali sull’esistenza dell’uomo: “Chi sono? Da dove vengo? Cosa verrà dopo?”
Fontana aveva capito che la “dannazione dell’artista” lo pone sullo stesso piano del filosofo, lo spinge a porsi quelle stesse domande, a compiere quella stessa ricerca di verità, ad interrogarsi sull’identità ed il destino dell’uomo (e forse anche sull’aldilà, “oltre la tela”).
Le domande fondamentali dell’essere umano sono proprio quelle che si pongono gli artisti proposti in mostra in “Non è una mostra per tutti”.
Probabilmente davvero la mostra non è per tutti così come troppi esseri umani, oggi, hanno smesso di interrogarsi sulla loro identità di essere umano.
Paolo Icaro, Antonio Trotta e Marrocco Armando, invece, non hanno mai smesso di porsi queste domande e il loro lavoro ne è la testimonianza concreta. Certamente suggestionato e affascinato da queste stesse domande è anche il più recente lavoro di Tom Jo Coladelli.
Nelle opere fotografiche di Marrocco e Trotta, che riproducono anche esperienze performative degli anni ’70, è assolutamente evidente un’indagine finanche psicanalitica.
La ricerca dell’io nelle sue multiformi e caleidoscopiche possibilità di manifestarsi (Marrocco espone una sfera che si riflette su superfici specchianti tridimensionali) i diversi sguardi e le interpretazioni che l’uomo può svolgere verso la stessa realtà (le fotografie di Antonio Trotta che riprendono il passaggio pedonale da una parte e dall’altra della strada), la sostanza dell’uomo che può presentarsi in forme diverse (le “pietre uguali” di Marrocco di materiali diversi ma dallo stesso peso) l’ambizione “lunare” e “animistica” di Paolo Icaro sono concrete espressioni della ricerca dell’”autenticità dell’io” (che non è per tutti ma è anche per tutti!).
Gli “intrecci” di Marrocco sono le relazioni umane di cui ci nutriamo quotidianamente come di una necessità ma anche di un limite alla libertà.
I “respiri” di Antonio Trotta sono il fiato, il respiro vitale dell’uomo, così essenziale e fragile anche se tradotto in una forma iconograficamente antitetica all’ambizione che lo connota (il marmo). La sostanza oltre la forma.
Il gesso bianco e la purezza delle forme elementari di Paolo Icaro evocano immediatamente il candore e l’ essenzialità intima dell’anima dell’uomo, un’anima pura, vera, che si contorce e si modella confrontandosi con una realtà di elementi naturali che la deformano anch’essi essenziali (piombo, rame).
È l’interferenza della realtà su un animo puro, il risultato è, comunque, “bellezza”.
Il “nulla” (nihil) che è il “tutto” proprio come l’anima.
La ricerca della verità spinta nel monocromo dell’oscurità ispira il lavoro di Tom Jo Coladelli.
Come scriveva Samuel Taylor Coleridge questi storici artisti (e la nuova promessa) “succhiano il midollo della vita”.
Ecce homo.